“Gli estivi” Luca Ricci, La Nave di Teseo, 2020

“Se tu e l’universo aveste camminato fianco a fianco, io avrei guardato solo dalla tua parte.”

Luca Ricci è tornato in libreria e prosegue la saga dei romanzi “stagionali” iniziata con il fortunato “Gli autunnali”. Questa volta è il turno de “Gli estivi”, un romanzo strutturato sulla relazione tra un uomo di mezza età che lavora in Rai e scrittore in perenne blocco, sposato e padre, e una giovane ragazza che nota la notte di San Lorenzo durante il consueto soggiorno estivo al Circeo.

Quindici sono le estati con cui la trama viene scansionata: della vita dei protagonisti veniamo a conoscenza proprio nelle riflessioni che in estate il protagonista racconta in prima persona.

Ma cosa rappresenta per il protagonista questo “gioco” estivo che si innesca per ben quindici anni? Rappresenta il tentativo di provare i suoi limiti, di sondare le necessità. In quindici anni tutti crescono, invecchiano, cambiano le disposizioni familiari.

Ma c’è una costante attenzione al reale protagonista del racconto, ossia il matrimonio. La coppia di cui fa parte il protagonista è fin dall’inizio una coppia stanca, in cerca spesso inconsapevole di stimoli per riaccendere la passione. Il matrimonio che consuma ed è consumato, logora impalcatura dove l’amore, l’energia, lo slancio passionale resta solo un vago ricordo lontano.

Cosa resta di due allora che si sono amati? E’ indiscutibile che nella coppia tratteggiata da Ricci ci sia comunque un’innegabile complicità capace di andare oltre le sovrastrutture e le definizioni. Delineata con cinismo, a volte con compassione, questa complicità emerge e interroga incessantemente il lettore. Spesso nelle relazioni, nei tentativi esistenziali del protagonista si innestano poi le questioni letterarie legate al mondo editoriale e al crisi creativa.

Fa da sfondo un paesaggio segnato dalle rughe del tempo che spazia da Roma al Circeo, un paesaggio quasi soffocante che anela all’estate come stagione dove tutto può accadere.

Ammaliante come sempre la prosa di Luca Ricci, che sa scegliere con perfezione le parole, il ritmo, l’intreccio in modo da incatenare il lettore pagina dopo pagina.

L’estate era l’unica stagione che doveva essere obliata mentre la si viveva, per sopravviverle; al contrario delle altre stagioni, di cui era bello avere consapevolezza (lo struggimento autunnale, la letargia invernale, il risveglio primaverile), l’incoscienza era la cifra dell’estate (e uno dei più grandi abbagli dell’umanità era stato confondere quell’incoscienza con la leggerezza.”

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